Si tratta di una patologia di recente scoperta che rientra nella vasta gamma di dipendenze “senza sostanze”; si parla, così, di work addiction (o workaholism) ovvero dipendenza da lavoro. Il comportamento assunto è simile a quello messo in atto da chi fa uso di sostanze stupefacenti; comportamenti ossessivi riguardanti il lavoro, un chiodo fisso che assorbe completamente la vita quotidiana inducendo il dipendente ad isolarsi progressivamente dagli altri e trascurando i propri bisogni. Di conseguenza, lavora continuamente senza mai smettere, accusando sintomi di astinenza (ansia, depressione, irascibilità).
Spence e Robbins (1992) coniarono il termine di workaholic basato su tre concetti fondamentali:
Sono stati, di conseguenza, delineati tre profili di workaholics:
LE FASI DELLA DIPENDENZA DA LAVORO
Nella FASE INIZIALE la persona inizia a leggere e ad informarsi più frequentemente su svariati argomenti collegati al lavoro impiegando anche il tempo libero e trascurando gli hobby. Questo, viene comunque considerato un “periodo passeggero” che non crea gravi danni ma tende a trasportare la persona ad un coinvolgimento eccessivo nei confronti del lavoro.
Nella FASE CRITICA i sintomi divengono intensi e più frequenti tali da iniziare a considerare l’idea di “dipendenza”. La persona dedica al lavoro un tempo eccessivamente superiore a tal punto da assumere sostanze eccitanti per “stare su” e cadere indubbiamente in uno stato di inefficienza del lavoro che si sta svolgendo.
Nella FASE CRONICA i sintomi diventano intensi e frequenti tali da poter diagnosticare una vera e propria dipendenza. Il lavoro occupa l’intera giornata.
La negazione del disturbo è l’aspetto più preoccupante: respingono parenti ed amici qualora fanno notare il problema e diviene talmente pericoloso a livello fisico tale da richiedere ricoveri per il dipendente, continuando comunque a negare il problema.
I sintomi che si possono individuare per poter diagnosticare una dipendenza dal lavoro sono vari:
Generalmente lo sviluppo del workaholism sembra essere influenzato sia dallo stile educativo dei genitori (il cui amore era collegato quasi esclusivamente all’efficienza lavorativa del figlio portandolo a lavorare sempre più per potersi sentire accettato) sia per cause sociali poiché l’identificazione con “il gran lavoratore” è resa più semplice dai molti apprezzamenti sociali che raccoglie questa figura.
Il lavoratore dipendente ha interiorizzato una falsa credenza spinto dalla malattia cui è afflitto “io valgo come persona solo se riesco ad avere successo”. Il percorso terapeutico è dedicato ad abbattere questa falsa convinzione per sostituirla con pensieri meno estremi come “io valgo per quello che sono, indipendentemente da quanto produco”.